Vicini alle nuvole, oscilliamo come rocce
“Tutti tornavano sulle stesse montagne da trenta, quaranta, cinquant'anni, e come me preferivano quelle trascurate dagli alpinisti, i valloni abbandonati in cui niente sembra cambiare mai. Un uomo con i baffi bianchi mi raccontò che per lui era un modo di ripensare alla sua vita. Era come se, attaccando lo stesso vecchio sentiero una volta all'anno, si addentrasse tra i ricordi e risalisse il corso della propria memoria. Eh già, non c'è niente come la montagna per ricordare.” Le otto montagne, Paolo Cognetti
Rispetto ad altre catene montuose meno celebri e rinomate, le Dolomiti sono meta prediletta per milioni di visitatori ogni anno. Il Lagazuoi non si esime da questa fama, ed è indubbio che questo tipo di caratterizzazione restituisca un’identità parzialmente ‘turisticizzata’ per un luogo che di per sé sarebbe l’esatto opposto.
‘Vicini alle nuvole, oscilliamo come rocce’ è un racconto visivo in cui la morfologia del territorio viene correlata all’eterogeneità dell’essere umano, in modo che uno sia archetipo dell’altro.
Le condizioni meteorologiche e il susseguirsi delle stagioni determinano senza dubbio la transitorietà del paesaggio del Lagazuoi, tanto quanto la variegata presenza antropica che giunge
a visitare la vetta della montagna. Con le prime luci dell’alba e del tramonto, però, la montagna si mostrava per quella che era realmente; un luogo mistico, mozzafiato, dove il tempo appariva sospeso e nel quale era possibile riconciliare se stessi con i propri pensieri più distaccati. Era lì che avveniva la suggestione, era in quel momento che capivo perché quel luogo fosse così necessario.